Edipo 2020
Il dramma
in breve
Il fortunato Edipo, figlio di Polibo, re di Corinto e della moglie di lui Merope, è tormentato da un fastidioso pensiero, che come un tarlo gli corrode la mente, qualcuno ha insinuato che egli è un figlio adottivo, è un bastardo. Una vergogna per la civiltà dell’onore del ghenos, della stirpe. Cosicché per appurare la verità Edipo si reca, come ogni uomo della Grecia antica, all’oracolo di Delfi, dove le sacerdotesse in stato di trance riferivano le parole del dio Apollo. Ma i vaticini sono criptici, espressi con parole equivoche, quindi devono essere interpretati e talvolta capita di interpretarli male! Così accade ad Edipo che si allontana da Corinto, perché
l’oracolo ha prescritto a lui che avrebbe un giorno ucciso il padre e si sarebbe unito in amore alla madre, generando con lei abominevoli creature figli e insieme fratelli. Nel suo cammino di esule da Corinto Edipo giunge a Tebe e qui la sua fama e di conseguenza la sua fortuna crescono sempre più, gode della stima di uomo saggio per aver sciolto l’enigma della Sfinge, che teneva in ostaggio la città di Tebe. Così sposa la regina, vedova del re Laio, un uomo assassinato da sconosciuti durante un viaggio, e con questa genera quattro figli, due ragazze Antigone ed Ismene, che resteranno al suo fianco nelle vicende successive, e due ragazzi, Eteocle e Polinice, presto protagonisti di sanguinosi conflitti. Ma la sorte è inaffidabile, imprevedibile, dal successo in un attimo spinge gli uomini alla miseria, triste verità di sempre. La città di Tebe è colpita da una virulenta ondata di peste, gli uomini muoiono, i bambini non nascono, la natura è sterile….
Nel dicembre 2019 iniziava per gli studenti delle classi IV^ del liceo classico l’atteso Laboratorio del dramma antico, che annualmente da circa 30 anni offre l’opportunità di vivere la letteratura, i miti, trasfigurando in essi il proprio vissuto, e si conclude ogni anno con l’ambita rappresentazione al Festival Internazionale del Teatro Classico dei Giovani a Palazzolo Acreide in Sicilia.
Nelle fasi propedeutiche noi docenti
avevamo pensato di preparare
un’opera ad intreccio, che coniugasse
in sintesi due tragedie del poeta greco
del V secolo A.C. Sofocle, ovvero
l’Edipo Re e l'Edipo a Colono. Non
avremmo mai potuto immaginare
quanto quei due drammi, l’uno
incentrato su una peste terribile,
l’altro sulla rinascita e la speranza,
potessero essere la profetica narrazione
dei giorni che avremmo vissuto!!!
Paradossalmente il quadro che dovevamo mettere in scena durante le settimane di prova andava materializzandosi dinanzi ai nostri occhi, nelle immagini che dalle tv, dai pc, dagli smartphone invadevano le nostre case. L’arte si rivelava mimesi della vita. Il laboratorio del Dramma antico, come tutte le attività scolastiche, come tutte le attività produttive, come tutte le attività sociali a marzo 2020 bruscamente è stato “congelato”, imprigionato in schermi distanti e freddi. Tuttavia la voglia di continuare era tanta, così, reinventando il progetto, abbiamo dato vita al video “Verso Colono” e, ugualmente, siamo andati in scena il 26 maggio 2020; con una diretta streaming il video ha raggiunto tutti, le famiglie, gli studenti e ha raccontato a tutti che il male, il dolore, la paura hanno da sempre fatto parte dell’uomo e che nell’orizzonte l’uomo può scorgere Colono. Colono, il paradigma dell’accoglienza, della riconciliazione, il luogo dove lo spirito si libera; Colono è speranza, Colono è vita!
Nell’aprile 2021 ostinatamente abbiamo voluto riprendere il primo progetto interrotto, avevamo bisogno noi tutti di dare un senso tangibile al tempo vissuto, confidavamo nel valore catartico del teatro. Ovviamente non pochi sono stati i sacrifici da fare, in primo luogo la riduzione del copione, che da un’opera di 70 minuti è stata trasposto in una da 30 minuti circa, per necessità di tempi di prova e di successivo svolgimento dello spettacolo.
E’ stato faticoso, sono stati maggiori i momenti di scoraggiamento che quelli di fiducia, abbiamo realizzato le prove a distanza, ancora ognuno nelle sue tristi stanzette. Tuttavia il 09 giugno siamo tornati per la prima volta nel nostro Auditorium, inversamente ai gradini che scendevamo, saliva l’emozione, il terrore e irrefrenabili le lacrime di gioia. Con un applauso di incoraggiamento abbiamo sancito l’inizio di un breve percorso di prove. La maggior parte degli studenti-attori ha dovuto però affrontare ancora tante prove, alcuni contagiati hanno sperimentato sulla propria pelle la paura della malattia, poi il vaccino, molti sono stati impegnati nell’Esame di Stato. Tante cose sono accadute, si sono difesi e si sono affermati, sono caduti e si sono rialzati. Dunque, un gruppo di studenti ancor più meritevole dell’affetto e della nostra guida per aver gestito contemporaneamente lo studio e l’esercizio del teatro, la paura e la speranza. Sono arrivati alla loro “prima e unica rappresentazione” con le loro cicatrici, con i segni di questo tempo di privazione e di paura, con i solchi della speranza, con la forza dei sogni, nel teatro hanno riversato un’immedesimazione naturale e autentica…
La convinzione che questo spettacolo poteva essere possibile è venuta dalla presenza di Filomena D’Andrea, grande e perciò umile artista, che ha composto le musiche e i canti, partendo dagli stasimi delle opere originarie. Un lavoro il suo di prestigio e rarità, di spessore culturale elevatissimo; in pochi giorni, trasportata da una forte carica di coinvolgente fiducia, si è messa al fianco di questi ragazzi e li ha guidati verso l’approdo.
La messa in scena, progettata in fretta e con un corredo minimo, ha inteso valorizzare una pluralità di linguaggi comunicativi attraverso i contrasti cromatici, quelli spaziali e quelli corporei. Innanzitutto abbiamo puntato su una scala di tre colori il bianco, il nero, il rosso per esaltare tutto ciò che si imponeva, emergendo dall’humus della storia, narrata nei colori del grigio (polvere) e del fango (terra e acqua). Il contrasto spaziale ha riguardato la presenza di luoghi chiusi alternati a spazi scenici aperti per trasmettere canali comunicativi dentro e fuori la storia. Le sfumature corporali, vincolate tra l’altro dalle misure per il contrasto alla pandemia, hanno giocato su staticità/tortuosità, paralisi/sgomento, dubbio/imponenza. Il coro, sacrificato dall’elevato numero dei coreuti e dai pochi movimenti consentiti dall’attuale situazione, si è proposto come filo di raccordo e come cassa di risonanza dei sentimenti e delle emozioni più recondite e intime dei personaggi. Conforme ad una rilettura dell'antico è stata poi la collocazione dell’orchestra contigua alla scena e, in alcuni casi sulla scena, per stabilire quel nesso tra parola e musica, tra il dentro e il fuori, l’allora e l’ora.
Questo Edipo con la sua ieraticità travolta, con la sua identità sgranata nelle schegge di uno specchio infranto, con le mani del popolo implorante, con i canti monodici di universale dolore, accompagnati da strumenti a corda e a fiato, con il fascio di bianco che abbaglia la strada dell’esodo, lascerà i brividi sulla pelle, sarà per sempre un racconto vibrante, carico del peso dell’oggi, fecondo della speranza del domani. Il nostro Edipo, un fotogramma sospeso nel tempo.
Buona visione e buon viaggio a tutti da Tebe a Colono, dalle tenebre, alla luce.